Nel caso di acquisto di un immobile all’asta fallimentare il quesito più frequente che si pone all’attenzione dell’investitore immobiliare è quello di sapere chi paga le spese condominiali arretrate non corrisposte dal precedente proprietario esecutato.
Una delle prime cose da verificare, infatti, quando si acquista un immobile all’asta compreso in un fabbricato condominiale, è se vi sono delle spese condominiali arretrate, ed in caso di sussistenza è bene stabilirne, con esattezza, l’entità.
Non è raro, infatti, che gli immobili sottoposti a pignoramento immobiliare, con conseguente nomina di un custode giudiziario, ex art. 559 e 560 c.p.c., siano gravati da oneri condominiali pregressi e cospicui.
Considerando poi che i procedimenti di esecuzione immobiliare sono alquanto lunghi, è opportuno anche chiedere al consulente d’ufficio, da parte del compratore, aggiornamenti sui debiti condominiali dell’esecutato.
In via preliminare occorre precisare che la legge non fornisce una risposta univoca al quesito, posto, comunque, che la sussistenza di spese condominiali pregresse rappresenta un’anomalia della procedura esecutiva di vendita dell’immobile, che si verifica, di fatto, quando il curatore fallimentare non inserisce gli oneri condominiali nel conteggio degli importi da ricavare dalla vendita.
Quali spese nasconde un appartamento acquistato in asta fallimentare?
Normalmente un immobile acquistato all’asta dovrebbe essere, per così dire, “pulito”, cioè senza altri oneri, come le spese condominiali pregresse, che l’amministratore di condominio, in qualità di creditore, dovrebbe cercare di recuperare presentando istanza di ammissione al passivo, relativa a tutte le rate condominiali scadute, fino alla data di dichiarazione del fallimento.
L’acquisto dell’immobile all’asta giudiziaria fallimentare pone un ulteriore quesito per l’amministratore e cioè se questi sia legittimato a richiedere le spese condominiali pregresse all’aggiudicatario, oppure restano a carico del fallito?
Cominciamo col dire che “l’acquisto di un bene da parte dell’aggiudicatario in sede di esecuzione forzata, pur essendo indipendente dalla volontà del precedente proprietario, ricollegandosi a un provvedimento del giudice dell’esecuzione, ha natura di acquisto a titolo derivativo e non originario, in quanto si traduce nella trasmissione dello stesso diritto del debitore esecutato” (Cass. n. 20037/10).
Pertanto, la situazione dell’aggiudicatario che acquista il bene in sede di esecuzione forzata, con il decreto di trasferimento, è identica a quella di chi acquista da un privato, con il rogito notarile.
Di conseguenza, l’amministratore può chiedere all’acquirente-aggiudicatario anche i contributi condominiali del precedente proprietario-fallito, in quanto il decreto di trasferimento dell’immobile acquistato all’asta giudiziaria si limita soltanto a liberare l’immobile da pregressi pignoramenti, ipoteche e privilegi speciali di cui fossero stati titolari i creditori (c.d. effetto “purgativo”), ma non interferisce per nulla con le spese condominiali che afferiscono al bene e lo seguono.
La vendita all’asta, per la precisa e tassativa espressione dell’art. 586 c.p.c. (cancellazione delle trascrizioni dei pignoramenti e le iscrizioni ipotecarie) non libera quindi il nuovo proprietario dal pagamento dei contributi condominiali.
Cosa dice il codice civile
In riferimento all’obbligo di pagare le quote condominiali, l’ipotesi di successione nello status di condomino di cui all’art. 63 disp. att. c.c., sancisce che chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente.
Più precisamente, l’acquirente condòmino deve pagare le quote condominiali ai sensi dell’art. 63 disp. att. Cc. (anno in corso e quello precedente) rispetto alla data del decreto di trasferimento e non in riferimento alla data del fallimento.
Cosa dice la Corte di Appello di Genova n. 513/2009
Sorge il dubbio in quanto gli oneri condominiali continuano a maturare anche in epoca successiva al pignoramento e non possono essere posti a carico del condominio (salvi gli effetti dell’intervento) proprio perché concernono un bene la cui vendita va a vantaggio dei creditori della procedura esecutiva.
Qui entrano in campo le sentenze.
Per la Corte di Appello di Genova n. 513/2009, «i saldi passivi, regolarmente approvati e ripartiti per gli esercizi precedenti, costituiscono una effettiva posta di debito nei confronti del condominio che può essere inserita nel rendiconto annuale dell’amministratore (il “consuntivo”) ed approvata legittimamente dall’assemblea, con la conseguente obbligatorietà ed ottenimento, in caso di mancata estinzione, dello speciale decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante opposizione, previsto dall’articolo 63 disposizioni di attuazione del codice civile».
Per le spese più risalenti nel tempo, infatti, qualora siano state riportate nei vari rendiconti, di anno in anno, sono esigibili dall’amministratore nei confronti del neoproprietario aggiudicatario che ha acquistato l’immobile all’asta.
Attenzione, dunque, alle delibere e alla ripartizione delle spese condominiali. Potreste essere chiamati a pagare anche le spese relative agli anni precedenti.
La prescrizione
I saldi passivi non pagati vengono riportati nei piani di riparto delle gestione successive perché, in base all’articolo 2948 ,comma 4, del Codice civile «(…) tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi», si prescrive in cinque anni proprio come accade con il pagamento, appunto periodico, delle quote delle spese condominiali, a carico di ogni singolo condomino.
Inoltre “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere” (articolo 2935 del Codice civile).
La cassazione, con sentenza 12596/02, aggiunge “la cui decorrenza è da rapportarsi alla data della delibera di approvazione del rendiconto delle spese e del relativo stato di riparto”.
Il giorno in cui il diritto può essere fatto valere coincide con la data di scadenza del termine di pagamento della rata risultante dal piano di ripartizione preventivo delle spese, oppure con la data di approvazione del piano di ripartizione consuntivo, nel quale è riportato il saldo passivo relativo alla gestione conclusa.
Una volta approvato il saldo passivo,dunque, riportarlo nei piani di riparto degli anni successivi non comporta il sorgere del credito ex novo, e i termini di prescrizione decorreranno sempre dalla data di approvazione del rispettivo piano di riparto e non di quelli successivi in cui è solo riportato.
In conclusione, l’aggiudicatario, che dovesse essere chiamato a pagare anche le spese condominiali pregresse, potrebbe soltanto rivalersi nei confronti del debitore esecutato.
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